Servizio Sanitario, quale futuro?

Autore: Dott. Fernando Perrone

Le molte criticità del nostro Sistema Sanitario ed i suoi costi ormai insostenibili, rendono il suo futuro molto incerto 

I bene informati dicono che la vita del Servizio Sanitario Nazionale, così come l’abbiamo vissuto sinora, sia ormai agli sgoccioli. Un vero peccato visto che il nostro Sistema Sanitario universale, solidaristico, gratuito per tutti, e finanziato con la fiscalità generale in modo graduale in base alle proprie disponibilità economiche ci viene invidiato da mezzo mondo. La causa del suo declino? È presto detto, per comune riconoscimento generale (politici, amministratori, operatori e utenti), anche se detto a mezza voce, così com’è non è più sostenibile dal punto vista finanziario e organizzativo, e non solo.

Le criticità del Sistema

Gli anni di pandemia appena trascorsi tra lookdown, mascherine e isolamenti sanitari, per non parlare degli estenuanti dibattiti sulla efficacia e utilità dei vaccini contro il Covid-19, hanno scoperchiato il vaso di pandora di una Sanità malata, spezzettata tra 21 indirizzi regionali differenti, con un inaccettabile divario assistenziale tra il Nord e il Sud del paese (la cosiddetta migrazione sanitaria ogni anno interessa oltre 800.000 persone) che sarà ancor più marcato se davvero si dovesse arrivare alla cosiddetta “autonomia differenziata”, ma anche poco virtuosa, con Regioni a rischio di commissariamento (come l’Emilia Romagna) per via di spese sanitarie e bilanci in rosso. D’altronde, se nel bilancio dello Stato la Sanità, che nelle auliche stanze parlamentari continua ad essere vista come un costo e non come un investimento a vantaggio di tutti i cittadini, e soprattutto dei più fragili e bisognosi, è finanziata per quest’anno con circa il 6,6% del PIL (nel 24/25 sarà del 6,2% e nel 26 del 6,1%) contro una media Europea del 7,1% (la Francia investe il 10% e la Germania l’11%), cioè con circa 134 miliardi, puntualmente erosi dal tasso di inflazione attuale che ci fa avvicinare più alla realtà sanitaria della Grecia che non a quella di Francia e Germania, non si può pretendere di più da un siffatto SSN che non potrà mai riuscire ad assicurare ai cittadini neanche le prestazioni minimali stabilite per legge, come quella del 2017 che ha istituito i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Senza sottacere che del fondo Sanità ben 40 miliardi vanno alla Sanità privata accreditata, senza un “ritorno” in termini di efficacia ed efficienza delle prestazioni.

Le liste d’attesa

Questa distonia porta ad allungare le già tanto folte liste di attesa, sia per accertamenti di laboratorio che per eseguire visite specialistiche o iter diagnostici anche in screening, come quelli per i Tumori alla mammella o al colon o alla cervice uterina, timidamente ripresi dopo la “pausa” forzata del Covid-19 ma anche per eseguire importanti, quanto non oltremodo dilazionabili, interventi chirurgici di una certa urgenza come quelli oncologici, ortopedici, cardio-chirurgici, endocrinologici e oculistici.
Nella ultima legge di Bilancio, dopo tanti tira e molla, il Governo ha stanziato 3 miliardi per la Sanità di cui 2,4 per i rinnovi contrattuali del personale con l’intento di tenerli ancorati al SSN e non lasciarseli scappare verso approdi più remunerativi e il resto per l’abbattimento delle liste d’attesa! Ma davvero si crede che sia questo il metodo per affrontare l’annoso problema delle lista d’attesa?

La carenza di Medici

Se questa si potrebbe definire la prima cifra della crisi del SSN, la seconda è senz’altro la cronica carenza di Medici e la desertificazione della Sanità territoriale e di prossimità, già in crisi e di fatto abbandonata a se stessa durante la pandemia. Da più parti questa situazione viene fatta scaturire (non senza ragione) dal persistente numero chiuso nell’accesso alla Facoltà di Medicina (anche se incrementato di circa 4 mila unità) ma il grande imputato rimane la mancanza di programmazione delle diverse istituzioni coinvolte (Ministero della Salute, dell’Università e Regioni soprattutto, visto che la competenza della gestione del personale è in capo a loro) per cui, stando agli ultimi dati, tra prepensionamenti e pensionamenti, verrebbero a mancare oltre 6.000 Medici, mentre nel 2027 se ne prevedono in uscita già 35.000, tenendo conto che oltre la metà dei Medici di Medicina Generale attualmente in servizio ha più di 65 anni! Si possono erogare servizi sanitari ospedalieri, di Pronto Soccorso o di Medicina di “base” di un certo livello con i cosiddetti Medici “gettonisti” o allungando il tempo di permanenza dei Medici di Medicina Generale a 72 anni, senza intervenire nel contempo ad eliminare inutili ed estenuanti incombenze burocratiche come la compilazione di anacronistici moduli? O si può pensare davvero che per rigenerare interesse per la Medicina Generale, attirare Medici e farli partecipare ai bandi delle zone carenti basti promettere agevolazioni di ogni tipo, dalla casa all’ambulatorio al collaboratore di studio, come è stato tentato di fare a Venezia? Senza un minimo di programmazione, di stabilizzazione del servizio e soprattutto di qualità delle prestazioni. Siamo ormai alla Sanità “arlecchino” con operatori scelti con il metodo dell’asta!

Dalla Sanità privata alla Telemedicina

In questo marasma fiorisce la Sanità privata e assicurativa cui attingono circa 20 milioni di cittadini per una spesa complessiva (detta “out of pocket” ossia di tasca propria) di oltre 37 milioni (il 2,2% del PIL) cosicché il cittadino paga la Sanità due volte! E tuttavia, stando al rapporto Censis, il 61% dei cittadini spera ancora in un miglioramento del SSN e circa la metà vorrebbe più Medici “di base”. Speranze che forse il PNRR potrebbe in parte realizzare se si rispettassero i tempi e venissero confermati i progetti sulle Case di Comunità, sugli Ospedali di Prossimità a gestione dei Medici di Medicina Generale (ridotti rispettivamente a 936 e 304), sull’Infermiere di famiglia, sulla copertura dell’assistenza domiciliare (che dovrebbe interessare circa un milione e mezzo cioè un 10% di ultra 65enni) e sulla legge sulla non autosufficienza e invalidità, finanziata con 2,7 miliardi, i cui decreti attuativi si aspettano per marzo 2024. Ma c’è il rischio che le Case di Comunità, ancorché dimezzate rispetto al PNRR iniziale, possano rimanere da una parte “vuote” cioè senza i Medici di Medicina Generale che potrebbero scegliere di rimanere nel proprio studio ancorati a quell’esile filo di fiducia che li lega ai propri Pazienti e alla loro famiglie e dall’altro poco fruibili perché dislocate in aree disagiate e distanti dal centro erogatore per molti Pazienti anziani, anche se potrebbe venire in soccorso in alcune situazioni la Telemedicina. E un’altra speranza, di un certo spessore, viene dal monito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, pensando alle possibili storture e diseguaglianza della autonomia differenziata e alla crisi della Medicina territoriale e di prossimità emersa nel post Covid, nel ricordare l’Art 32 della Costituzione, esorta la politica ad “operare affinché il presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio Sanitario Nazionale venga rafforzato ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti nel territorio in cui vive”.